Pastori Sardi – In Sardegna si è rotta la corda e in Capitanata?

La protesta dei pastori sardi ha riportato alla luce una ferita aperta e poco conosciuta dai non addeti ai lavori. Ma perché un pastore arriva ad una protesta così estrema da versare per strada il frutto del proprio duro lavoro?
Quella sottile corda che collega gli interessi dei pastori a quelli dei mercati e delle grandi catene di distribuzione e che se trascina soldi da un lato li allontana irrimediabilmente dall’altro si è spezzata!
Il produttore, colui che con il sudore della propria fronte produce la materia prima, quasi mai riesce a decidere il prezzo del proprio prodotto, deve però rispettare normative fiscali e di sicurezza sempre più stringenti che nella loro indispensabilità innalzano i costi di produzione.
Il mercato può livellare i prezzi con medesimi prodotti che arrivano dall’estero e che non hanno le stesse qualità o le stesse norme fiscali e di sicurezza presenti in Italia determinando un prezzo di acquisto più basso.
In Sardegna il prezzo del latte ha raggiunto il costo di produzione eliminando quello che è il guadagno dei pastori che di fatto dovrebbero lavorare gratis se le condizioni non mutassero.
Ma nella nostra Capitanata quanto è diversa la condizione del comparto agricolo?
Il comparto cerealicolo vive da anni la speculazione del mercato che all’occorrenza non si fa scrupoli ad importare grani esteri sottoposti a trattamenti fitosanitari vietati in Italia a prezzi stracciati abbassando il valore di quello nostrano, è così che il prezzo dell’ottimo grano fino pugliese nel periodo lugio 2018 ad esempio è stato di appena 220 €/ton (fonte Camera di Commercio di Foggia) ma a lasciarci perplessi è notare che il prezzo del pellet nello stesso periodo è stato di 270€/ton (rilevazione AIEL).
In pratica un prodotto ricavato da scarti legnosi che bruciamo nelle stufe costa più della materia prima alimentare per eccellenza!!
E se i pastori buttano il latte a terra noi dovremmo bruciare il nostro grano nelle stufe.
Gli altri comparti agricoli, olivicolo vitivinicolo ecc.. non godono certo di condizioni migliori nemmeno dove c’è bassa concorrenza estera, il comparto della silvicoltura ed esempio, dove il peso del legname rende l’importazione sconveniente per il costo del trasporto, sta vivendo un periodo altrettanto difficile! Il silvicoltore che rispetta tutte le norme di sicurezza e legislative del settore difficilmente riesce ad ottenere guadagni dalla vendita del legname.
In buona sostanza la sopravvivenza degli imprenditori agricoli della Capitanata (che rispettano le leggi e pagano i braccianti secondo norma) è garantita quasi esclusivamente dai contributi cominitari (Agea) e dai fondi europei gestiti [in maniera discutibile] dalla regione (PSR).
La politica ha in pratica reso gli imprenditori dei ricercatori di contributi comunitari piuttosto che del buon prodotto e delle buone pratiche agricole annullando quella che doveva essere la vera vocazione dell’agricoltore, non ha saputo allo stesso tempo tutelare i nostri prodotti fatta salva qualche eccezione a garanzia di prodotti di provenienza di alcune regioni del nord.
Ma la preoccupazione maggiore è che il comparto agricolo, uno dei più importanti della Capitanata e dell’ intero Mezzogiorno, è totalmente dipendente (e ricattabile) dai fondi che la politica Europea gli destina, cosa accadrebbe se da Bruxelles si decidesse di chiudere i rubinetti dei fondi europei all’agricoltura italiana?
DemA Manfredonia ha iniziato un percorso di studio e condivisione delle problematiche che interessano diversi settori del nostro territorio, tra questi quello agricolo, seguiranno comunicati più dettagliati che riguarderanno argomenti specifici.
DemA Manfredonia