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DemA alle Coop: basta tragedie occupazionali

Coop Napoli

Per Wikipedia i punti vendita Coop vanno aumentando la loro presenza nel Sud e nelle isole, ma il sito ufficiale della Coop dichiara la sua assenza dalla Sardegna in un quadro di presenze territoriali evidentemente squilibrato. Su un totale di 1167 punti vendita, infatti, 708 si collocano nelle Regioni del Nord (il 60 %), 390 in quelle del Centro (34 %) e 69 al Sud (6 % del dato nazionale). Se storicamente la prima finalità delle cooperative di consumo è la tutela del potere d’acquisto e la garanzia della qualità, non ci sono dubbi: il dato è avvilente e, sommato a quello dei livelli di occupazione, dimostra che anche in questo settore il Sud è purtroppo fanalino di coda.

All’origine dello squilibrio ci sono certamente ragioni storiche. La pratica dell’«acquisto collettivo» nasce infatti a Torino nella seconda metà dell’Ottocento e la prima «resistenza» allo strapotere privato e alla costosa intermediazione dei grossisti si organizza al Nord. Non vale qui la pena di ricostruire le linee di sviluppo storico del movimento, ma è significativo – e va segnalato – un dato «snaturante»: i 249 milioni di euro di utili ottenuti dalle vendite nei negozi, contro gli 889 milioni prodotti da operazioni finanziarie negli anni tra il 2009 e il 2013. Un bilancio che dimostra come l’asse degli interessi aziendali si sia spostato dalla gestione per così dire «industriale» a quella finanziaria, sicché i maggiori ricavi delle Coop provengono dagli investimenti speculativi, che non solo producono profitti molto più alti di quelli realizzati dalle vendite nei negozi, ma possono anche causare serissime perdite.

Si tratta di uno spostamento che spiega probabilmente la natura reale dei problemi ed è lì che vanno cercate le cause dell’ulteriore taglio alle attività in Campania, dov’è prevista la chiusura di due dei cinque punti vendita della Regione. Una scelta cui De Luca non ha finora prestato attenzione, benché le conseguenze siano drammatiche e aggravino una situazione già insostenibile: 100 posti di lavoro persi e 100 famiglie gettate sul lastrico senza alcuna prospettiva e alternativa.

Dopo l’approvazione del piano industriale del 2006, che prevede la chiusura o la cessione dei due punti vendita in Campania, il 23 dicembre 2013 un accordo tra Azienda e Sindacati, firmato anche dalla Regione, ha imposto ai lavoratori pesanti perdite salariali, in cambio di rassicurazioni su futuri tagli al personale. Ipercoop Tirreno, infatti, ha messo nero su bianco la sua decisione di continuare a gestire i cinque punti vendita della Campania. A gennaio dello scorso anno, poi, la fusione di tre società (Adriatica, Estense e Consumatori Nord Est), con la nascita della Coop Alleanza 3.0 e la costituzione della Distribuzione Centro-Sud s.r.l. per la gestione dei tre Ipermercati campani di Afragola, Quarto ed Avellino, Unicoop Tirreno ha acquisito la proprietà dei punti vendita di S.Maria Capua Vetere e Napoli-Arenaccia, i due soli superstore campani. Benché la complessa operazione abbia portato nella sue casse una notevole liquidità, Unicoop Tirreno ha deciso che, se entro il 31 Dicembre 2017 non troverà qualcuno disposto a rilevare le due strutture con il relativi personale, chiuderà le due Coop.

Nell’inerzia della Regione, demA condivide e sostiene la lotta del Sindacato, che combatte una battaglia dura e difficile, chiedendo il rispetto degli impegni presi, affinché i due punti vendita in questione, che attualmente operano già sotto organico, e il loro intero personale facciano ancora capo al sistema cooperativo. Non si tratta di richieste ideologiche campate per aria. Le due strutture insistono infatti su aree geografiche popolose, che consentono all’azienda di garantire ottimi standard commerciali, qualitativi e occupazionali. Ha ragione quindi l’USB, quando accusa l’azienda di non voler investire decisamente su due strutture che hanno un notevole potenziale e le chiede di non abbandonare l’identità storica delle Coop e non affrontare le conseguenze di scellerate speculazioni finanziarie, che nel 2016 hanno prodotto una perdita totale di esercizio di 44,7 milioni di euro, ricorrendo a chiusure inaccettabili. Il costo del personale, che incide per appena l’11% sul totale dei costi della produzione, è totalmente estraneo alla crisi, mentre un peso decisivo ce l’hanno la svalutazione di obbligazioni bancarie subordinate che ammontano a 15,8mln di euro, gli sprechi nei costi per servizi e lo strozzinaggio dei canoni di locazione, che l’azienda paga all’Unicoop Firenze (proprietaria degli stabili), calcolati in misura tre volte più alta degli attuali valori di mercato.

In questa situazione demA si schiera a fianco dei lavoratori in lotta contro chiusure o cessioni a piccoli privati, decise per rimediare a una gestione finanziaria fallimentare, a scelte manageriali dissennate, a costi fuori controllo e a scarsi investimenti in comunicazione. Una situazione in cui i lavoratori e le loro famiglie non c’entrano nulla, sicché non si capisce perché debbano pagare colpe che non sono loro.
Ciò, senza contare i diritti costituzionali dei lavoratori calpestati e i costi sociali della perdita di posti di lavoro in territori in cui la disoccupazione ha raggiunto livelli da incubo, lo sfruttamento del lavoro è sempre più disumano e intere generazioni non hanno futuro. In questo senso il progetto della Coop è nei fatti un favore alla criminalità organizzata. Contro questa ennesima tragedia occupazionale e le sue conseguenze, demA si schiera compatta e sosterrà sul terreno politico e su quello della partecipazione attiva ogni iniziativa e lotta che il sindacato vorrà organizzare.

Coordinamento Nazionale demA